di
Fabio
Chiocchia
3. Radici
New Orleans, Hermantrauth Pub, un mese
prima.
I tavoli del sinistro bar di periferia
erano delle figure evanescenti in mezzo alla nebbia di fumo di sigaro che
riempiva l'aria del locale. L'uomo strinse gli occhi cercando di farsi largo in
mezzo a quella folla di avventori che scaricava nei polmoni e nel fegato quanta
più morte possibile, rollata con del tabacco o versata dentro un bicchiere,
giocandosi un giorno di vita a boccata più di quanto non facessero già con lo
stipendio al tavolo da poker. Si chiese perchè lui e la persona che doveva
incontrare si fossero dovuti dare appuntamento proprio in una bettola simile.
Odiava quei sudici quadri di decadenza mortale, quasi quanto schifava il solo
fatto di discendere sul piano materiale. Probabilmente era proprio per questo
che quell'infido bastardo aveva scelto il peggior buco fumoso che New Orleans
poteva offrire. Per questo e per il solo gusto di fargli metter piede sul suolo
americano, e costringerlo a provare la sensazione che più di tutte odiava,
quella della debolezza. Quando le luci arcobaleno di un juke box si accesero
improvvisamente, e la voce inconfondibile di Elvis Presley cominciò a cantare Rock Around The
Clock, l'uomo capì che c'era anche un terzo motivo. Il maledetto insetto aveva
sempre avuto un debole per quei cosi, e con l'avvento dell'era moderna se ne
trovavano sempre di meno dentro i locali. Come aveva immaginato, accanto al
juke box, vestito con un completo blu gessato e una bombetta sulla testa, stava
un uomo di colore, allampanato e con un sorriso, in apparenza caloroso,
stampato sul volto. Occhiali tondi e fini e un paio di eleganti guanti viola
portati alle mani, completavano l'opera. In quel momento stava tamburellando
con le dita sul juke box mentre muoveva la testa seguendo il ritmo incalzante
della musica. Un assassino fatto e finito che si nascondeva dietro un’aria di falsa simpatia, ingannatore come
lo sgorbio a otto zampe che era in realtà.
<<Quest'uomo, Presley, è
incredibile>> disse senza preavviso l'uomo di blu vestito, quando il suo
interlocutore credeva che nemmeno si fosse ancora accorto di lui.
<<Se fosse stato uno di noi, oggi
avrebbe più potere di quanto non ne possediate ora tu e la tua combriccola di
ammuffiti falliti. In effetti perfino una Paris Hilton avrebbe più potere di te
in questo preciso istante>>
Ridacchiò, divertito dalla evidente
espressione rabbiosa che si era dipinta sul viso dell'altro, anche se dubitava
avesse capito appieno la sua battuta. Lui e la sua combriccola non
frequentavano di certo la scena jet set
americano, gli piaceva però pensare che il senso della frecciata fosse arrivato
lo stesso a destinazione. L'uomo infatti serrò la mascella, quindi indicò uno
dei tavoli posti a poca distanza dal juke box.
<<...voi wakandani venite subito al
sodo eh? E' per questo che vi trovo così noiosi! Non apprezzate un pò di sana
ironia! Ma facciamo pure a modo tuo...>>
Si lasciò dunque cadere su una sedia
mentre il suo seccato interlocutore si sedette su quella di fronte. L'uomo di
blu vestito si accese un sigaro con un Dunhill d'oro che ripose poi nella tasca
e cominciò a schioccare le dita al ritmo delle ultime note della canzone mentre
attendeva che l'altro cominciasse a parlare. Non ci mise tanto, proprio come si
aspettava.
<<....è arrivato infine il momento.
La Pantera ha fatto il suo tempo ed è ora che l'ordine delle cose cambi
radicalmente...>>
<<Beh mi chiedevo quando vi sareste
decisi a sollevare la testa dal fango e a farvi entrare nei vostri poveri
cervelli il fatto evidente che l'unica persona a cui poter chiedere aiuto sono
io!>>
<<Se le cose fossero andate
diversamente, credimi, non ci saremmo mai rivolti a un sudicio insetto come
te!>>
L'interlocutore dell'uomo in blu era
paonazzo per la rabbia che riusciva a controllare a stento. Strinse un lembo
del tavolo e questo si piegò sotto le sue dita come se fosse fatto di burro, la
cosa però non parve affatto impressionare l'altro, che semplicemente tirò un
altra un’altra boccata al suo sigaro e poggiando anche le scarpe sul
tavolino si dondolò sulla sedia.
<<La potenza e l'impenetrabilità
del Wakanda, di cui andavate così fieri è stata paradossalmente la vostra
rovina. Stavate così bene nel vostro paese della cuccagna che non vi siete
espansi nel mondo e il vostro culto è rimasto dentro i confini wakandani. Non
come me, che tramite la tratta degli schiavi che afflisse i miei credenti,
trovai un inaspettato modo di incrementare il mio potere, stabilendomi anche
sul suolo americano, nei Caraibi, in Suriname…nelle Antille olandesi... Da
qualche parte credono persino che io sia una donna e mi chiamano Zia. E' così
che sono andate le cose...ed è il motivo per cui a differenza mia siete utili come
una scarpa vecchia. Siete davvero fortunati che io abbia un conto in sospeso
con la Pantera. Un conto in sospeso antico quasi quanto questa terra ed è
giunto il momento di saldarlo…>>
Soffiò dunque uno sbuffo di fumo verso il
soffitto, rimanendo a fissarlo come assorto e dando ogni tanto delle piccole
spinte con il piede alla sedia. Dunque improvvisamente tornò a fissare l'altro
e il sorriso canzonatorio che finora aveva caratterizzato il suo viso sembrò
aver lasciato il posto a un’espressione feroce, da predatore.
<<......E' questo il motivo per cui
vi aiuterò a trascinarlo nella polvere...a lui....e a tutti i membri del suo
sudicio culto....>>
Wakanda, Palazzo Reale, Ora.
Monica Lynne camminava per i corridoi del
palazzo, mascherando la sua incessante inquietudine con il silenzio. Dietro
ogni sguardo che incrociava le sembrava di legger diffidenza, spesso persino
odio, e ovunque andasse non poteva che sentirsi fuori posto, vivendo ogni
momento con assoluto disagio. La lontananza di T'Challa poi non faceva che
accentuare questa sua condizione, dato che quando era assieme al suo amato ogni
problema sembrava scomparire e anche lei non riusciva a non venir contagiata
dalla sua risolutezza, dalla sua sicurezza di sè. Quando lui era con lei niente
sembrava minacciarla, neanche i pregiudizi del popolo wakandano. Ora però lui
era dovuto partire, assieme a suo zio Sy'an e non sapeva con certezza quando
sarebbe tornato, lasciandola ancora una volta con le sue paure e i suoi disagi.
Mentre avanzava Monica credeva di sentirsi addosso mille sguardi che la
trafiggevano come delle lame, che continuavano implacabili a ricordarle quanto
lì fosse fuori posto. Improvvisamente, mentre camminava da sotto una delle
arcate si fece avanti la figura di Ramonda, la Regina Madre. Ci mise poco a
capire che la donna stava venendo nella sua direzione e si bloccò di colpo
attendendo che lei le si parasse davanti.
<<Monica....ti stavo cercando. Ho
riflettuto e credo che io e te dovremo parlare un pò, da donna a
donna..>>
Monica si affrettò a rispondere, quasi
paurosa di contrariare Ramonda in qualche maniera, se non lo avesse fatto.
<<Si!Si!.......come vuole lei
Regina Madre...>>
Ramonda squadrò stranita Monica quindi
sul suo volto si allargò un sorriso dolce e comprensivo e la donna le poggiò
una mano sulla spalla.
<<Non essere così tesa. E non
chiamarmi mai più Regina Madre....Per te sono solo Ramonda
ok?...Seguimi..>>
Detto ciò si incamminò lungo il corridoio
dal quale era venuta facendo strada a Monica finchè le due non arrivarono a una
stanza, la camera da letto della Regina Madre. Ramonda fece cenno alla ragazza
di sedersi sul letto e Monica obbedì sedendosi sulle lenzuola di finissima seta
e passandovi sopra una mano, apprezzandone la consistenza delicata. Ancora non
era riuscita ad abituarsi del tutto alla ricchezza e allo sfarzo che adornavano
quel palazzo, lei che era abituata a una vita ordinaria per quanto potesse
esserlo quella di una cantante di New York. Ramonda si sedette davanti a lei e
rimase a guardarla dritta negli occhi per qualche secondo, prima di cominciare
a parlare.
<<Ricordo ancora il momento in cui
mi innamorai di T'Chaka. Me lo ricordo come se fosse ieri, e allo stesso modo
ricordo quanto il nostro rapporto i primi tempi fu difficile. Vedi io non sono
una wakandana...esattamente come non lo sei tu… e fui accolta dal popolo con la
stessa esatta diffidenza che ora ti stanno riservando. Il Wakanda è un grande
paese.. Qui ogni uomo è libero, c'è benessere, c'è stabilità, c'è orgoglio e
fierezza...ma c'è anche molta diffidenza verso gli stranieri soprattutto se
americani. Una diffidenza in parte giustificata, in parte no, ma molto forte in
ogni caso.>>
Monica ascoltava attentamente le parole
di Ramonda e all'ultima frase pronunciata dalla Regina Madre chinò il capo.
Ramonda però le pose l'indice sotto il mento portandola a risollevarlo con
gentilezza.
<<Ciò non vuol dire che essa debba durare
in eterno. Come hanno imparato a rispettare me lo faranno anche con te. So che
in te c'è molto più di quanto dai a vedere. Avverto una grande forza interiore,
coraggio e determinazione....solo mascherate da una eccessiva dose di
insicurezza>>
Monica si sentiva incredibilmente
rasserenata dal tono rassicurante che Ramonda stava usando con lei e accennò un
sorriso mentre sentiva nuovamente svanire le sue insicurezze. Nonostante
sentisse la mancanza di T'Challa, capiva che Ramonda rappresentava per lei un
altro scoglio rassicurante nel mare burrascoso delle sue inquietudini. La
Regina Madre sembrò avvertirlo e le poggiò una mano sopra la sua.
<< Sappi che sarò sempre pronta a
darti tutto il sostegno necessario. E soprattutto abbi fiducia in T'Challa. E' un
grande Re e più di tutto un grande uomo,
come lo era suo padre prima di lui, e il suo popolo lo ama esattamente come
amava T'Chaka. E presto capiranno che avere accanto a sè una donna come te, una
donna che lo rende davvero felice, è la cosa migliore che possa essergli
capitata>>
Il sorriso sulle labbra di Monica si
allargò e la ragazza, che prima era rimasta in religioso silenzio ad ascoltare
le parole di Ramonda non potè far a meno di parlare.
<< Grazie....grazie mille, Regina
Madre, io....>>
<<Proprio non riesci a toglierti
dalla testa questo Regina Madre! E' Ramonda!>>
<<Grazie....Signora
Ramonda...>>
<<Oh bhè...un passo alla
volta....>>
Il salone principale del palazzo era
stato sgombrato del grosso tavolo che solitamente veniva utilizzato per i pranzi
sfarzosi che la Famiglia Reale organizzava, invitando in molti casi anche il
popolo a prenderne parte. Un’altra attività che si svolgeva all'interno del
salone era però l'istruzione dei giovani alle tipiche usanze e alle tradizioni
wakandane. Sopratutto il momento più atteso era quando il vecchio N'Gassi
narrava i miti e le leggende di Wakanda, appuntamento che soprattutto i bambini
non perdevano mai, affascinati com'erano dalle storie dell'anziano Primo
Ministro. Solitamente anche i membri del Clan della Pantera partecipavano e
quel giorno non avevano fatto eccezione, infatti assieme alla solita nutrita
schiera di bambini anche Hunter, sempre taciturno e scostante, Khanata e Joshua
Itobo sedevano in attesa che N'Gassi cominciasse il suo racconto. Shuri entrò
poco dopo e silenziosa si sedette a una certa distanza dagli altri membri della
famiglia. Le era stato caldamente consigliato di partecipare e la ragazza non
aveva avuto nulla da obbiettare, anche se in qualche modo quei volti per lei
quasi del tutto sconosciuti le mettevano un certo disagio. Guardò sua madre,
Ramonda, entrare accompagnata dalla donna che presto suo fratello T'Challa
avrebbe presto sposato, Monica Lynne. La ragazza si muoveva in maniera
impacciata tra i ragazzini, e improvvisamente Shuri si sentì quasi affine a
lei. Dopotutto anche lei si sentiva meno wakandana di quanto si potesse
credere, non perchè sua madre Ramonda non lo fosse ma perchè aveva passato la
maggior parte della sua vita all'estero e ora tutto le sembrava così nuovo ed
estraneo. Ramonda si sedette accanto a lei facendo accomodare Monica vicino a
sè quindi dopo averle fatto un cenno si rivolse a Shuri.
<<Dovresti sederti vicino alla tua
famiglia. Dopotutto non li vedi da quando eri una bambina piccola,
Shuri>>
<<Già probabilmente hai
ragione>> rispose Shuri con sufficienza, quasi a voler schivare il
discorso. Certo Shuri era stata felice di tornare a casa ma tralasciando sua madre si era accorta nel
giro di qualche giorno che i volti dei suoi familiari le apparivano davvero
come quelli di estranei. Troppo era stato il tempo che aveva trascorso lontano
da casa e da quando era atterrata oltre alle parole scambiate con Khanata
durante il volo e le chiacchierate con sua madre non aveva avuto modo di
intrattenersi con nessun'altro. Soprattutto non aveva potuto parlar molto con
suo fratello T'Challa e ora lui era anche dovuto partire assieme allo zio S'Yan
e non sapeva quando sarebbe tornato. Ramonda stava per replicare alla sua
risposta ma in quel momento N'Gassi entrò nel salone battendo a terra il suo
bastone, chiedendo il silenzio. L'anziano uomo si sedette dunque a terra e
poggiando accanto a sè il suo bastone squadrò per pochi intensi secondi tutte
le persone che erano accorse ad ascoltarlo prima di cominciare a parlare.
<<Molte volte ho avuto modo di
narrarvi come il Cielo e la Terra decisero di porre i primi uomini, diretti
discendenti di Coloro che Erano Prima sulle fertili e ridenti terre del
Wakanda. Ciò è alla base del superiore intelletto delle genti del nostro amato paese,
tale lignaggio ha fatto sì che la tecnologia si sviluppasse tra i nostri
confini ancor prima che in ogni altro paese del nostro pianeta. A queste
creature fu donato questo luogo di prosperità che oggi noi chiamiamo Wakanda e
a loro salvaguardia furono posti gli Dei. E così venne il nostro amato Dio
Pantera ma non fu il solo. Furono creati i due leoni, i due fratelli dalle
opposte indoli, buono l'uno quanto malvagio e subdolo l'altro, e con loro venne
il sudicio e repellente Dio Iena, che più di ogni cosa ama la morte in tutte le
sue forme. Il Coccodrillo fu posto a salvaguardia dei corsi d'acqua mentre il
Grande Gorilla Bianco dei monti e delle foreste. Erano tempi in cui gli Dei
camminavano sulla terra stessa che li aveva generati e i loro fedeli potevano
aver con loro un contatto diretto. Non passò molto tempo che ogni Dio
cominciasse a crearsi una propria schiera di seguaci>>
Nella sala c'erano diverse persone che
avevano già sentito molte volte quella storia, ma sentirla raccontare da
N'Gassi era sempre un esperienza che pochi si sarebbero persi, tanta era la
partecipazione con cui la narrava. Shuri dal canto suo non l'aveva mai davvero
sentita raccontare, né che fosse per bocca di Ramonda né di nessun'altro.
Eppure ora era rapita da quelle parole e dall'enfasi del vecchio Primo
Ministro, che scandiva ogni tanto le sue parole con qualche piccolo colpo di
bastone sul pavimento.
<<La superbia però non è cosa
esclusivamente umana ma a volte coglie anche gli esseri divini, e avvenne che
il malvagio Leone cominciasse a coltivare assieme all'aberrante Iena il
desiderio di aver tutto per se stessi. Assieme, con l'inganno intrappolarono il
più mite fratello del Leone recludendolo nelle profondità della terra dove si
dice esso giaccia ancora. Fatto ciò i due dichiararono guerra agli altri Dei e
ai loro clan seminando sangue e distruzione sulla stessa Terra che loro era
stata consegnata perchè prosperasse. Su tutti si erse il nostro Dio Pantera,
che primo in potenza e in furia affrontò fiero le macchinazioni del Leone e
della Iena e le mire di potere del Coccodrillo e del Gorilla, non potendo però
esimersi nell'incorrer lui stesso nelle ire del Cielo e della Terra che tutti
loro avevano creato. Su di loro fu posto un terribile giogo, essi infatti
sarebbero stati per sempre legati alla Terra che essi tanto bramavano e
soprattutto ai loro stessi seguaci. Più il loro culto avesse avuto presa sul
Wakanda tanto più potere essi avrebbero avuto, fuori dai confini del loro paese
però essi avrebbero trovato solo debolezza a meno che il loro culto non si
espandesse>>
Uno dei bambini alzò la mano, e per
qualche secondo N'Gassi lo guardò torvo. Alla fine però il suo viso si distese
in una espressione più dolce, che solo i bambini sapevano fargli assumere.
<<T'sami figlio di T'somo,
finalmente hai imparato ad alzare la mano per chieder di parlare. Bene,
sentiamo quale quesito ti affligge, giovane!>>
Il bambino si schiarì la voce dopo aver
annuito in risposta alla constatazione di N'Gassi
<<Ma allora il più forte di tutti è
il nostro Dio Pantera non è vero? Cioè....qui abbiamo solo persone che seguono
il Dio Pantera....>>
N'Gassi rimase per qualche secondo in
silenzio prima di alzarsi in piedi e poggiare una mano sulla testa del bambino.
<<E' così, T'sami figlio di
T'somo...Egli è ora l'entità più potente che veglia sul Wakanda. Perchè dura fu
la guerra ma il Dio Pantera e con lui i fieri esponenti del suo Clan furono
capaci di ergersi vincitori sugli sconfitti quando il conflitto ebbe termine.
Ma non credere che gli altri Dei non siano vigili...che i loro seguaci non
esistano più. Essi vivono, rintanati nelle nostre foreste e nelle nostre grotte
o nelle città abbandonate nel cuore della giungla. Guardati soprattutto dai
seguaci della lurida Iena e da quelli del deviato Leone. Avere a che fare con
loro non porta mai nulla di buono...>>
T'Sami sembrò alquanto turbato dalle
parole del vecchio N'Gassi, il quale era convinto che la verità non andasse mai
nascosta ai giovani e non era solito indorar mai la pillola quando raccontava
loro cose che altri non si sarebbero mai sognati di narrargli. In quel momento
però anche lui sembrò capire di starsi spingendo troppo oltre ed evitò di
parlar al ragazzino e a tutti gli altri presenti delle orribili pratiche messe
in atto dai seguaci di quei due temibili dei.
<<...Ciononostante il dominio del
Dio Pantera rimane solido e forte e nessuno di quei sordidi cultisti verrà mai
a por la sua indegna mano su di te, T'Sami o su qualunque alto membro del
nostro regno. Non finchè il nostro Re e le Pantere Nere vigileranno su di
noi!>>
Fatta questa solenne chiusura, N'Gassi
chinò il capo leggermente quindi dopo aver fatto questo cenno di saluto ai
presenti si allontanò camminando con l'aiuto del suo bastone e uscendo dalla
sala. Shuri seguì il suo incedere, mentre nella testa ripercorreva l'eccitante
storia che aveva appena udito. Nei suoi occhi brillava la ardente fiamma della
curiosità, la stessa che brucia dentro chi scopre qualcosa per la prima volta e
vorrebbe approfondirla sempre di più. La voglia di riprendere contatto con le
proprie origini...
Da qualche parte al largo dell'Oceano
Atlantico.
L'enorme velivolo recante l'effige della
Pantera si fermò a pochi metri dalla superficie marina mentre al suo interno
T'Challa controllava gli strumenti di bordo e digitando alcuni tasti sul
computer avviava una scansione del fondo marino sottostante. Per l'immenso
dolore di S'Yan poco dopo sullo schermo comparvero le immagini della carcassa
di un aereo, quello dove, a quanto sembrava dalle ricerche compiute da T'Challa
stesso, si trovava suo figlio T'Shan. Ciò che avevano scoperto era che il
ragazzo era salito sul suo aereo privato assieme a un altro uomo e che aveva
richiesto espressamente di non far parola con nessuno della loro partenza. Non
certo un ostacolo per il Re Wakandano comunque che ci aveva messo nemmeno
un’ora a stabilire non solo da dove erano partiti ma anche la rotta che l'aereo
aveva compiuto. Quello sembrava essere il luogo in cui alfine il velivolo si
era schiantato in acqua, e ora T'Challa era intenzionato a far luce su tutta la
faccenda e accertarsi se ci fossero speranze di rivedere suo cugino in vita.
Dopotutto aveva personalmente progettato gli aerei privati con cui ambasciatori
e funzionari wakandani si spostavano, non fidandosi affatto di lasciarli
prendere quelli che l'Onu metteva a disposizione, e li aveva dotati di una
comoda camera stagna capace di resistere ai forti impatti grazie al suo esser
fatta di solido vibranio e in essa si trovavano di solito i generi fondamentali
per resistere diversi giorni fino all'arrivo dei soccorsi. Le speranze che
T'Shan si fosse rifugiato lì dentro erano alte, dopotutto era stato informato
dell'esistenza della camera di salvataggio. T'Challa si alzò dunque dalla
postazione e lanciò un'occhiata a Omoro, che annuì gravemente nella sua
direzione. In silenzio, i due indossarono due mute da sub lanciando poi
entrambi uno sguardo a S'Yan. Ora lo zio di T'Challa sembrava di colpo essere
invecchiato tutto d'un tratto. Si era abbandonato sul sedile fissando lo schermo
e pronunciando poche parole sussurrate e impercettibili, come se pregasse gli
Dei per la salvezza di suo figlio. Decisero di lasciarlo lì, sperando di aver
buone nuove da portargli una volta che fossero riemersi. T'Challa premette un
pulsante e il portello si aprì permettendo ai due di uscire all'aria aperta e
tuffarsi velocemente nelle acque dell'Oceano Atlantico. Come due frecce i due
fendettero l'acqua scendendo in profondità grazie alle loro doti di nuotatori.
Grazie all'avanzata tecnologia della tuta subacquea i due avevano una visione
completa dell'ambiente circostante senza bisogno di illuminazione alcuna. Poco
dopo la figura dell'aeroplano si stagliò dinanzi a loro, e i due affrettarono
l'andatura dando dei poderosi colpi di pinna e dirigendosi verso il velivolo.
Esso si era nonostante l'impatto con la superficie dell'oceano, adagiato
stancamente sul fondo, probabilmente a causa della profondità a cui si trovava,
che aveva permesso alla massa d'acqua di attutire la caduta dell'aereo.
Finalmente giunsero al relitto e T'Challa senza perdere tempo cominciò a
ispezionare gli oblò, cercando di capire se suo cugino fosse al suo interno.
L'oblò centrale purtroppo gli riservò la sorpresa che non avrebbe mai voluto
ricevere...T'Shan era lì e i suoi occhi spenti sembravano fissarlo.. Il Re
wakandano rimase a bocca aperta. Improvvisamente si bloccò rimanendo immobile
per poi sferrare un pugno contro la superficie del velivolo. Tutto sembrava
così irreale.. Certo non aveva mai provato troppa simpatia per il cugino ma ora
vederlo lì, morto, lo lasciò momentaneamente spiazzato. Soprattutto a
consapevolezza di come S'Yan avrebbe reagito alla notizia della morte di suo
figlio lo colpì come un maglio allo stomaco. Si staccò dall'oblò e si diresse
verso l'enorme portello dell'aereo ignorando quasi Omoro accanto a lui. Avrebbe
riportato il corpo di suo cugino da suo padre, e fatto ciò avrebbe scoperto chi
era la causa di tutto questo. Della morte di T'Shan dell'attacco delle iene in
piena New York, del pericolo imminente che Maisha gli aveva predetto e che,
ormai lo credeva, era collegato a quanto stava accadendo. E allora niente e
nessuno lo avrebbe salvato dalla furia della Pantera Nera.
Nuovo capitolo di Pantera Nera (sempre in
mostruoso ritardo e me ne scuso ancora) che finalmente presenta il pantheon
wakandano. Come molti sapranno ero intenzionato inizialmente ad usare gli dei
egizi ma alla fine si è preferito consigliarmi di crearne uno mio e la cosa mi
ha dato anzi molto più margine di creatività. In realtà molti di questi dei
esistono comunque anche nella continuity Marvel, ad esempio il Grande Gorilla
Bianco di cui l'Uomo Scimmia M’baku o il Dio Leone che è stato in due occasioni
avversario dei Vendicatori e a cui ho creato un "fratello buono"
(ebbene si cito spudoratamente il Re Leone), che però vedremo molto più avanti
nella storia. L'ispirazione più grande mi è giunta da una delle opere migliori
di Neil Gaiman, American Gods, sopratutto per la caratterizzazione del
misterioso personaggio che appare all'inizio della storia (magari chi ha letto
il libro ha intuito anche chi è) e che per l'aspetto fisico è ispirato a Gus
Fringe di Breaking Bad. Da questo capitolo, dove T'Challa compare relativamente
poco, dato che mi son voluto concentrare un minimo anche sui comprimari,
comincia così l'influsso "divino" che avrà un ruolo fondamentale in
questo ciclo di storie e che ci porterà a conoscere questi Dei da molto, molto
vicino. Con la speranza di riuscire a esser più puntuale nella pubblicazione
non posso che darvi appuntamento al prossimo capitolo di Pantera Nera!